Le motivazioni del progetto
Mangiare è un atto agricolo, Eating is an agricultural act,” ha scritto Wendell Berry, ma è anche un atto politico.
Il fascino del cibo non riguarda solo il comparto dell’enogastronomia, non concerne solo la salute, tutto il mondo ruota attorno al cibo. Eppure con gli alimenti ci si trova ancora di fronte a due opposti inquietanti. La fame nel mondo rappresenta un problema scottante e drammatico che minaccia l’esistenza di centinaia di milioni di persone: più di un terzo della popolazione mondiale vive sotto la soglia della miseria e sviluppa patologie da malnutrizione proteico-calorica.
Per contro, milioni di persone si ritrovano a confrontarsi con i rischi per la salute conseguenti a sregolatezze ed eccessi alimentari (Prenesti, 2012).
Dall’altro lato la gestione del territorio e del paesaggio sono fondamentali elementi di valore creati in gran parte dalla qualità delle pratiche agricole.
La sostenibilità della nostra società dipende anche da tutta la filiera alimentare come mostrano le impronte ambientali.
Per costruire una consapevolezza alimentare, sociale ed ambientale e una fiducia nel settore agro-alimentare, fiducia fortemente compromessa, è importante intercettare la domanda di mercato sempre più orientata a prodotti responsabili, dal punto di vista sociale e ambientale.
In tutto questo sia necessario partire dalla “trasparenza” delle informazioni.
Oggi, le etichette forniscono delle garanzie “minime” perché indicano “cosa c’è” (ingredienti e quantità) e “cosa non c’è” (ad esempio il glutine).
Ma questo non basta. Infatti, per comunicare al meglio con i consumatori stanno aumentando le etichette disponibili, ma non sempre i risultati sono quelli attesi, perché può prevalere la confusione e il senso di smarrimento di fronte ad un numero di dati incomprensibili.
Diventa necessario, quindi, informare i cittadini sui possibili accorgimenti da prendere per non incorrere nell’inganno delle pubblicità e dialogare con gli operatori del settore e con le istituzioni per continuare a sviluppare un sistema di trasparenza.
Varie iniziative, come ad esempio tra le prime, la Giornata Nazionale Mangiasano del 2011, le associazioni di agricoltori, Slow Food hanno creato molte iniziative in tutta Italia, eventi culturali, momenti di riflessione (dibattiti, convegni), la distribuzione di materiale informativo e l’allestimento di mercati con produttori locali, infine l’EXPO 2015 di Milano hanno avviato una profonda riflessione sullo stato dell’arte del sistema di etichettatura per i principali prodotti agroalimentari, sia in ambito comunitario che nazionale, consentendo di:
favorire il confronto tra i principali soggetti della filiera agroalimentare (produttori, trasformatori, consumatori);
migliorare la comprensione delle informazioni contenute in etichetta da parte dei consumatori;
sviluppare proposte concrete per la realizzazione di sistemi di etichettatura trasparenti che possano caratterizzare il prodotto per la sua qualità, eticità e salubrità.
L’alimentazione occupa il primo posto all’interno della scala dei bisogni di ogni essere umano.
Il cibo viene consumato oggigiorno per due motivi principali: per il bisogno di mangiare e nutrire il corpo e in secondo luogo per la ricerca del piacere nel mangiare e bere determinati alimenti e bevande.
Con il termine “qualità alimentare”, dal punto di vista nutrizionale, si indica principalmente il valore nutritivo dell’alimento in termini di apporto bilanciato di carboidrati, grassi, proteine, minerali e vitamine essenziali per la salute e lo star bene. In questo contesto è sottointesa l’assenza di elementi chimici o microbiologici contaminanti e nocivi alla salute.
Per il consumatore, all’atto del consumo di un alimento, sono importanti le sue qualità che permettono di soddisfare il bisogno primario di nutrimento.
Infatti, le qualità dei prodotti alimentari, nel rispetto dei vincoli normativi18, rappresentano gli elementi fondamentali nelle scelte di acquisto (Godina, 2012).
Attualmente, l’alimento si trova nella dualità tra recupero, valorizzazione e tutela dei prodotti locali e globalizzazione planetaria, tra filiera corta e filiera lunghissima.
La globalizzazione minaccia la peculiarità alimentare che caratterizza le diverse civiltà e rischia di sovvertire equilibri delicati che determinano il rapporto tra l’ambiente, l’uomo e il consumo delle risorse naturali.
Con la globalizzazione viene annientato il piacere della scoperta dell’alimento sconosciuto consumato fresco nel suo ambiente naturale: l’accesso comodo a ogni bene riduce la curiosità e l’iniziativa demotivando fino alla noia, alla frustrazione e al qualunquismo.
A riprova della sua titanica importanza nell’economia della vita, il cibo è stato celebrato da molte forme d’arte, dalla pittura alla cinematografia alla letteratura.
Nella pittura spicca per notorietà il contributo di Giuseppe Arcimboldo ma da Caravaggio a Velasquez, da Carracci a Guttuso, da Vermeer a Gauguin il cibo ha sempre occupato un posto di riguardo nel panorama pittorico internazionale.
I film centrati sul tema del cibo sono numerosi. Per citarne solo alcuni, «Il pranzo di Babette», «Chocolat», «Ricette d’amore», «Un’ottima annata», «La grande abbuffata», «La cena» e «Lezioni di cioccolato» sono tutte opere che esaltano la valenza socializzante, affettiva e, in qualche caso, erotica assunta dal cibo. Anche la letteratura dedica ampi spazi ai diversi aspetti connessi al cibo. Già al tempo dei romani si scrivevano trattati di cucina: il più completo manuale di cucina che possediamo in lingua latina è il «De re coquinaria» di Marco Gavio Apicio, vissuto nel I secolo d.C. sotto gli imperi di Augusto e di Tiberio. Passando alla celeberrima scuola francese di cucina, Marie Antoine Carême e Georges Auguste Escoffier sono stati celebri cuochi e autori di vari libri.
«Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei»: questa frase appartiene al filosofo tedesco Ludwig Feuerbach nonché al magistrato, pensatore e gastronomo francese Jean Anthelme Brillat-Savarin, che l’ha inclusa nel suo trattato «La fisiologia del gusto»(1825). Questo libro non è un ricettario, e nemmeno un testo scientifico, bensì una raccolta di considerazioni sul cibo e sui suoi aspetti sociali, oltre che gastronomici: rappresenta la prima riflessione organica sul rapporto tra uomo e cibo, il primo tentativo di dare all’arte della cucina e della tavola la dignità e lo stato di scienza.
Entrambi gli studiosi consideravano il cibo un preciso marcatore di elementi caratteriali delle persone.
Questa frase individua davvero bene lo stretto legame esistente tra il tipo di alimentazione e la condizione psicofisica di ogni persona.
Già, perché al cibo si delegano svariate funzioni, al di là di quella strettamente legata ai bisogni nutrizionali del corpo.
Si può usare il cibo per riempire vuoti esistenziali, oltre che vuoti gastrici, saziando impropriamente con il cibo appetiti della sfera emozionale che dovrebbero essere soddisfatti con esperienze diverse da quella alimentare.
Questa confusione determina squilibri e apre la strada alla manipolazione pubblicitaria dei consumi e al malessere individuale fino ai disturbi patologici del comportamento alimentare.
I cibi assunti per ottenere gratificazioni compensative sono indicati come “cibi di conforto”, a sottolinearne la valenza consolatoria (tipici gli alimenti ad alto contenuto glucidico, i derivati del cacao e gli alcolici).
Al cibo, inoltre, è riconosciuta una funzione di aggregazione sociale.
Il cibo assume un ruolo di intrattenimento ricreativo agendo da legante per la riuscita di incontri conviviali negli ambiti sociali più disparati, da quello romantico a quello amicale a quello lavorativo.
Al di là di quello nutrizionale, quindi, si può assegnare al cibo un ruolo sociale e un ruolo psicologico: corpo, mente e relazioni sono influenzati dal cibo che ognuno sceglie di assumere. Il cibo, infatti, ha la capacità di sottolineare e di esaltare eventi e stati d’animo: il profumo, il colore o il sapore di un cibo possono in pochi istanti catapultare indietro nel tempo attraverso la riviviscenza di accadimenti del passato ancorati (nella memoria emozionale) a quel parti- colare cibo.
Quanto e cosa mangiamo parlano di chi siamo, cioè della nostra attuale identità, del nostro stato d’animo, dei nostri bisogni.
Chi opera, a qualsiasi titolo, nel campo degli alimenti si assume importanti responsabilità per la consegna ai consumatori di prodotti salubri e nutrienti.
Ai singoli consumatori, però, va la responsabilità della scelta di cosa mangiare e quanto mangiarne: peccato che, come sostiene George Bernard Shaw, «Le cose più belle della vita o sono immorali o sono illegali oppure fanno ingrassare»…(Prenesti, 2012)
Per le Politiche Comunitarie la rintracciabilità, di cui parla il Libro Bianco della Comunità Europee, è un punto chiave.
Il Libro Bianco enfatizza la necessità di realizzare procedure che consentano l’identificazione completa dei mangimi, degli alimenti e dei loro ingredienti su tutta la catena alimentare, tenendo, tuttavia, presente che tale identificazione costituisce un problema di natura complessa e deve, pertanto, tener conto della specificità di diversi prodotti e servizi.
A tal fine, il Regolamento CE n. 178/2002, oltre ad istituire l’Autorità alimentare per la sicurezza alimentare e fissare le procedure nel campo della sicurezza alimentare, stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare.
Il Regolamento CE n. 178/2002, oltre ad istituire l’Autorità alimentare per la sicurezza alimentare e fissare le procedure nel campo della sicurezza alimentare, stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare.
L’art. 18 del Regolamento introduce nel diritto alimentare europeo una prescrizione generale, vale a dire la “rintracciabilità” di tutti gli alimenti e mangimi. A decorrere dal 1° gennaio 2005, tale prescrizione dovrà venire obbligatoriamente rispettata.
Prima di passare all’analisi dell’art. 18, è importante premettere che il Regolamento in questione prevede unicamente dei principi generali, piuttosto che precise regole, in quanto mira ad una sostanziale omogeneità tra i diversi sistemi nazionali e opera in un quadro mutevole in relazione ai dati scientifici e alle soluzioni tecnologiche su cui si fonda la possibilità di garantire un elevato livello di tutela della salute umana.
Si ritiene, infatti, che solo in questo modo sia possibile risalire alle cause e alle responsabilità di eventuali crisi alimentari e circoscrivere i problemi sul nascere – focalizzando gli interventi e i controlli – oltre che evitare che lo stesso problema insorga nuovamente.
Il Regolamento, ai sensi dell’art. 3, comma 15, definisce la rintracciabilità come: «la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione», ovvero la possibilità di ricostruire a posteriori il percorso effettuato dal prodotto per intercettare e richiamare un lotto o una partita in crisi.
A sua volta, la rintracciabilità si può svolgere “top-down” (dalla produzione alla distribuzione) o “bottom-up” (dal consumatore alla produzione).
Alla definizione di rintracciabilità il legislatore comunitario affianca, all’art. 18, la regola cui gli operatori del settore alimentare devono attenersi al fine di gestire adeguatamente eventuali emergenze.
Le finalità dell’art. 18 si possono far derivare dall’esame di alcuni consideranda.
In particolare, il considerando n. 28 dichiara così: «L’esperienza ha dimostrato che l’impossibilità di ricostruire il percorso compiuto da alimenti e mangimi può mettere in pericolo il funzionamento del Mercato interno di tali prodotti.
Occorre quindi predisporre un sistema generale per la rintracciabilità dei prodotti che abbracci il settore dei mangimi e alimentare, onde poter procedere a ritiri mirati e precisi o fornire informazioni ai consumatori e alle amministrazioni competenti.
Inoltre, il considerando n. 29 precisa che: «Occorre fare in modo che le imprese alimentari e del settore dei mangimi, comprese le imprese importatrici, siano in grado di individuare almeno l’azienda che ha fornito loro l’alimento, il mangime, l’animale o la sostanza che può entrare a far parte di un dato alimento o di un dato mangime, per fare in modo che la rintracciabilità possa essere garantita in ciascuna fase in caso di indagine».
Dalla lettura dei due consideranda emergono, quindi, quelli che sono i tre obiettivi principali, vale a dire:
individuare la merce in modo puntuale e inequivocabile per effettuare ritiri mirati e/o interrompere la sua immissione sul mercato;
individuare l’origine del problema, intesa come identità dell’azienda, per apportare i dovuti correttivi e attribuire specifiche responsabilità;
fornire informazioni ai consumatori oltre che alle autorità di controllo, evitando disagi più estesi o allarmi ingiustificati.
Come già sottolineato, l’art. 18 introduce la rintracciabilità di alimenti e mangimi come una prescrizione generale estesa a tutti gli operatori della filiera. Esso non indica, infatti, gli strumenti da utilizzare per raggiungere l’obiettivo ma esprime un obbligo in termini, appunto, di risultato. (Baldoni, 2007).
L’etichetta è lo strumento di comunicazione delle informazioni per eccellenza, e può essere potenzialmente in grado di valorizzare le produzioni e di tutelare la libertà di scelta dei consumatori.
La sua importanza è cresciuta negli ultimi anni, parallelamente alla trasformazione del sistema alimentare al livello della produzione, della distribuzione e del consumo.
Nel modello alimentare tradizionale, infatti, la produzione agroalimentare era fortemente legata al territorio, prevaleva l’autoconsumo e il mercato si limita a scambi locali. Il produttore, il trasformatore/artigiano e il consumatore si muovevano in una relazione di prossimità che permetteva una comunicazione diretta e un rapporto basato sulla fiducia.
L’affermazione del modello agroindustriale, nel XX secolo, ha comportato l’aumento della complessità del sistema, con lo sviluppo di prodotti industriali trasformati e il coinvolgimento di nuovi soggetti economici (dall’industria degli input agricoli, ai consorzi agrari, all’industria della trasformazione e a quella della distribuzione).
Inoltre, a partire dal secondo dopoguerra, si è imposto il “consumo di massa” dei prodotti industriali standardizzati, il mercato è diventato globale e non è più vincolato alla stagionalità e alla località (in quanto è possibile reperire prodotti in qualsiasi periodo del- l’anno, da ogni parte del mondo).
L’alimento è diventato, quindi, un “oggetto non identificato”, perché standardizzato, destagionalizzato e de territorializzato.
Sicuramente tutta questa serie di mutamenti ha determinato un aumento dell’ansia in relazione al cibo perché non si riesce più ad avere un controllo diretto su di esso, perché le stesse indicazioni scientifiche e nutrizioniste evolvono troppo velocemente per permettere ai consumatori di poter avere garanzie su ciò che mangiano e perché gli scandali del settore che si sono succeduti negli ultimi anni (dalla mucca pazza alle decine di casi di sofisticazioni, frodi alimentari, contaminazioni con sostanze tossiche, ecc.) hanno messo in evidenza i “nuovi rischi” della tavola (Capogna, 2011).
Riferimenti bibliografici
Baldoni, 2007. Certificazione, Etichettatura E Regolazione Ogm Per La Qualità e La Sicurezza Agro‐Alimentare: La Risposta Normativa Comunitaria Alla Tutela Del Consumatore. Università Degli Studi di Padova Facoltà di Scienze Politiche, Corso di Laurea Magistrale in Politiche dell’unione Europea, 162, p.
Capogna, S. 2011. Etica+etichetta=trasparenza, Verdi Ambiente e Società, 3, 3- 5
Godina, A., 2012. LA PERCEZIONE DELLA QUALITÀ DEL CAFFÉ ESPRESSO DA PARTE DEL CONSUMATORE, Università Degli Studi di Trieste Sede Amministrativa del Dottorato di Ricerca, XIX Ciclo Del Dottorato di Ricerca In: Scienza, Tecnologia ed Economia Nell’industria del Caffè, 246 p.
Prenesti, E. 2012. Civiltà alimentari e valori sociali del cibo. I vuoti esistenziali non sono vuoti gastrici
L’alambicco Distillato di notizie su chimica e società Aprile 2012, Chimica & alimentazione, Università di Torino, 1.
Wendell. B., 1990. The Pleasures of Eating,” in What Are People For? New York: North Point Press, 1990